Carne senza antibiotici, cosa è bene sapere

Il consumo della carne, e in generale dei prodotti di origine animale, pone i consumatori di fronte a scelte sempre più orientate all’attenzione alla sicurezza alimentare. Le allerte sanitarie e la risonanza mediatica di eventi come la BSE (Mucca pazza), la presenza di diossina nelle carni suine, la listeriosi, il diffondersi di una sempre maggiore attenzione al benessere animale, hanno spinto la legislazione nazionale ed europea a elaborare un quadro normativo che tenga conto della necessità di produrre le derrate alimentari in modo sicuro ma che consideri anche i bisogni etologici degli animali.

Da un lato abbiamo visto scomparire quasi completamente malattie storiche di interesse veterinario, ma dall’altro abbiamo visto aumentare il rischio di presenza di residui ambientali legati alle attività umane o residui dei trattamenti farmacologici.

Il consumatore viene garantito da un sistema di controlli che va dall’allevamento sino alla tavola. Il primo responsabile della salubrità delle carni e dei prodotti di origine animale è l’allevatore, definito dalla legge Operatore del Settore Alimentare (OSA). È lui che garantisce, fino all’uscita dei prodotti sul mercato che i pericoli sanitari sono stati tenuti sotto controllo e sono stati valutati i rischi connessi alla produzione. Stessa responsabilità spetta agli altri OSA del sistema delle trasformazioni e della distribuzione fino alla bocca del consumatore.

Quindi il consumatore è garantito dalla responsabilizzazione diretta dei produttori ma anche da un sistema di controlli ufficiale che interviene per verificare la corretta applicazione delle norme da parte di produttori tramite ispezioni e campionamenti da parte delle Autorità Competenti .

Per escludere la presenza di antibiotici e di residui farmacologici nelle carni, la normativa prevede l’applicazione di serrati piani di campionamenti a livello nazionale sia per quanto attiene l’alimentazione degli animali sia sulle derrate stesse (Piano Nazionale Residui, Piano Nazionale Alimentazione animale) che sono affiancati da Piani Regionali sulla produzione e la distribuzione degli alimenti.

I dati del Piano Nazionale Residui, redatto dal Ministero Salute ai sensi del Regolamento UE 625/2017, ci dice che a fronte di migliaia di campionamenti ufficiali a livello nazionale, solo lo 0,2% circa ha evidenziato la presenza di residui di farmaci, con un costante calo, soprattutto negli ultimi anni.

L’utilizzo degli antibiotici, in particolare negli allevamenti, suscita sempre molta attenzione perché strettamente collegato al complesso problema dell’antibiotico-resistenza, fenomeno che ha un impatto potenziale sulla nostra salute. Sono dunque doverose alcune precisazioni in quanto c’è molta disinformazione in merito.

Innanzitutto, gli antibiotici non possono essere somministrati in modo indiscriminato agli animali, ma solo se il loro uso ha un senso e segue una logica terapeutica precisa! In primo luogo, devono essere somministrati solo dopo una diagnosi al fine di curare e tutelare il benessere dell’animale ed evitargli inutili sofferenze, proprio come avviene negli esseri umani. Inoltre, devono essere somministrati se, e solo se, compaiono in allevamento i primi segni di un’infezione, e sono consentiti solo per i tempi previsti dalle loro schede tecniche di registrazione. Infine, non possono essere somministrati a scopo preventivo.

È responsabilità del Veterinario Aziendale fare la diagnosi e prescrivere la terapia, il tutto tracciato nelle ricette obbligatorie tenute in appositi registri e verificabili dai Veterinari Ufficiali della Azienda Usl. Dal 2019 è stato poi introdotto un sistema nazionale di ricettazione elettronica dei farmaci veterinari che permette di monitorarne puntualmente l’utilizzo complessivo e la somministrazione sui singoli soggetti allevati. Tutto il percorso terapeutico degli animali produttori di alimenti deve essere tracciato, pena l’esclusione dal consumo umano dei loro derivati. Il sistema sanzionatorio è rigoroso e arriva sino

alla denuncia penale per chi non rispetta la stringente normativa europea che, a differenza di molti Paesi Terzi, vieta anche l’utilizzo di sostanze ormonali.

Dopo l’introduzione della ricetta elettronica e la creazione di manuali operativi mirati per la cura degli animali produttori di alimenti, i dati ci dicono che l’utilizzo di antimicrobici in particolare è calato vistosamente e velocemente con riduzioni per determinate molecole ben oltre il 50%, come evidenziato da un recente rapporto del progetto di Sorveglianza Europea sull’utilizzo di antibiotici in ambito veterinario pubblicato dall’Agenzia Europea dei medicinali (ESVAC-EMA). Per molecole utilizzate anche in medicina umana, come la colistina, questa riduzione arriva oltre al 90%.

Cosa significa il bollino “allevato senza uso di antibiotici”?
È un’informazione aggiuntiva che le aziende possono riportare in etichetta, a patto che aderiscano a specifici disciplinari, controllati da enti certificatori. Viene percepita dal consumatore come indice sia di maggiore benessere per gli animali sia di maggiore sicurezza per chi mangia quella carne, tuttavia, non è necessariamente così.
Un’indagine di Altroconsumo ha rivelato nelle carni la presenza di batteri portatori dei geni tipici dell’antibiotico-resistenza, indipendentemente dalla presenza della certificazione in etichetta.
Inoltre, è bene ricordare che negli allevamenti viene rispettato il tempo di sospensione, un lasso di tempo necessario tale da garantire che il farmaco utilizzato non permanga come residuo nelle derrate alimentari. La durata del tempo di sospensione è legata essenzialmente al tipo di farmaco impiegato, al metabolismo della specie animale a cui viene somministrato e alla via di somministrazione impiegata. Perciò, anche quando sia necessario somministrare un antibiotico per la salute dell’animale, la carne derivata è comunque sicura.

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